mercoledì 9 febbraio 2011

9 Febbraio una telefonata difficile

Stamattina ho chiamato.
Una mamma a me molto cara che ha perso un figlio a me molto caro. Stroncato nei suoi 46 anni da un male incurabile, gia’ la parola cancro e’ difficle da pronunciare e scrivere.  Mi sono decisa a chiamarla stamattina.  
La notizia mi e’ arrivata la settimana scorsa mentre in auto rientravo da una giornata passata in ospedale. La mia di mamma mi ha chiamata, aveva una voce strana e appena le ho chiesto “cosa c’e’?”  E’ scoppiata a piangere era inconsolabile, mi ha dato la notizia, era appena rientrata dal funerale. Non sono riuscita a dire molto  solo un “ti richiamo piu’ tardi”.
Le lacrime hanno inziato a scendere ed un dolore grande mi ha completamente assalita.
Sono riuscita solo questa mattina ad avere la forza di chiamare questa mamma a me molto cara. Cosa riesci a dire ad una mamma che ha appena perso un figlio? Che sei lontana, che non puoi abbracciarla e che non hai potuto essere li’ per l’ultimo saluto.
Le ho solo chiesto di resistere, di tenere duro, perche’ adesso e’ solo una guerra di sopravvivenza per lei una lotta contro un dolore che la schianta. Anche io ho pianto insieme a lei.
Come mi pesa essere cosi’ lontana, sto andando  in un ospedale per cercare di cambiare l’approccio lavorativo, per trasmettere un modelllo di lavoro  diverso, e tutto questo dovrebbe accadere in poco piu’ di 2 mesi. Mi domando a volte se veramente hanno capito la portata  di questo lavoro ed il tempo necessario per cercare di spiegare e trasmettere un cambiamento. Ma come si fa? Io non lo so. Due progetti di questa portata in soli 6 mesi sono difficli. Si’ perche’ alla fine non rimarra’ niente e non perche’ non mi sono impegnata abbastanza,  ma perche’ prima di tutto siamo persone, esseri umani e siamo cosi’ tutti diversi. Prima di conquistare la fiducia, il riconoscimento ci vuole tanto tempo passato insieme e tanta fatica e solo dopo che hanno capito, che hai conquistato la loro fiducia, puoi finalmente iniziare a lavorare.  Sembra ovvio?
Mi sono pensata nella stessa situazione, arrivano un paio di tizie, obruni per giunta, da chissa’ dove con la pretesa di insegnarmi un nuovo modo di lavorare, o la pretesa di cambiare il mio modo di lavorare. Perche’? Cosa c’e che non va nel mio? Sono tanti anni che lavoro...... queste sarebbero le prime domande e ci sarebbe scetticismo e diffidenza come reazione iniziale. Solo giorno dopo giorno lavorando insieme, fianco a fianco su cose pratiche e vedendo i risultati potrei iniziare a pensare che forse vale la pena di mettersi  in gioco. Inoltre bisogna fare i conti con la propria caratterialita’, non  andiamo a genio a tutti e viceversa non tutti vengono percepiti nello stesso modo. Ci sono quelli simpatici e altri che magari ci risultano antipatici. siamo essere umani ancora per fortuna.
E non dimentichiamoci la lingua, le differenze culturali etc etc.

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